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Nota sulle sentenze della Corte europea dei diritti umani

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Quando si parla di diritti umani non si può prescindere da un organo che ha una valenza importante nella soluzione di controversie che riguardano la violazione dei diritti inviolabili dell'uomo: la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Istituita nel 1959 dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950, Convenzione firmata dall'Italia e dai 12 Stati  al tempo membri del Consiglio d'Europa, ha sede a Strasburgo ed è un organo giurisdizionale internazionale.  E' composta da un numero di giudici pari a quello degli Stati contraenti. I giudici sono scelti  tra giuristi di chiara fama ( il giurista Conforti ne è stato un membro) o tra persone che abbiano i requisiti richiesti per l'esercizio delle più alte funzioni giudiziarie. E' bene precisare che essa non è un organo dell' Unione Europea, come, invece, lo è la Corte di Giustizia. Pertanto, essa non va confusa con quest'ultima. Beda Romano, giornalista, scrittore e studioso di diritto internazionale, ha definito  la Corte come " un presidio efficace contro possibili derive autoritarie. E' un bene prezioso che bisogna salvaguardare, una polizza di assicurazione contro il ripersi di avvenimenti passati" (1). Pur  condividendo  questa visione,  dobbiamo considerare, però,  che non poche volte alcuni Stati dell'Unione Europea non hanno eseguito in tempi veloci le sentenze della Corte (questo perché l'esecuzione delle sentenze non rientra nella competenza della stessa) con gravi ripercussioni sui soggetti che hanno aspettato molto tempo nel vedere sanata  una situazione che aveva leso la sfera dei propri diritti.  In particolare, l' Italia è lo Stato che pesa di più per i casi pendenti . Moltissime le sentenze della Corte non sono  ancora esecutive (2).  E' pur vero che la Corte non può annullare o modificare le decisioni dei tribunali nazionali, né può intervenire in favore del ricorrente direttamente presso l'autorità di cui ci si lamenta. Limiti? Parrebbe di sì, anche se considerati in un'ottica di riconoscimento della sovranità di uno Stato. 
 
(1)  Intervista a Beda Romano, L'equilibrio tra sicurezza e libertà", Il Sole 24 Ore, 11/02/2018;
(2) www.marinacastellaneta.it ;

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